Una donna poco distante, al casello, gira la manovella che fa funzionare il meccanismo. Mi guarda e saluta; vestaglia lunga e bianca che lascia intravedere i suoi grossi seni. Saluto con un cenno di mano e allargo le labbra distogliendo lo sguardo per non essere indiscreto; davanti a me la strada prosegue tra gli ulivi.
Salento lento. Mi fermo ad un passo dalle sbarre, volgo lo sguardo in direzione dei binari, prima a destra e poi a sinistra, il silenzio della campagna è rotto da un cinguettio di alcuni uccelli che svolazzano tra i campi.
Il sole scende ed il vento sembra seguirlo nel suo riposo.
Abbandono l'idea di oltrepassare furtivamente ed imprudentemente le sbarre ed appoggio i gomiti sul manubrio, gambe diritte e ferme a terra, aguzzo le orecchie e riattivo i sensi, fermo il tempo e mi faccio trasportare dai pensieri.
Ricordi affiorano piacevolmente alla mente: mi rivedo seduto al fianco di mio nonno, nella sua seicento fiat ad attendere il passaggio del treno; risento i fuochi d'artificio pomeridiani di Sant'Antonio che rimbombano tra i campi di erba gialla e verde; le passeggiate estive in bicicletta verso il punto che segnava la fine del mondo, dove l'oscurità non ci permetteva di proseguire oltre; il tabacco steso ad essiccare tra le vie di periferia; le sedie al margini dei marciapiedi dove consuetudine voleva che si trascorressero le calde e lunghe serate estive; i racconti di mio nonno in veranda, sempre le stesse piacevoli storie alle quali mai mi sottraevo; le canzoni di gioventù dell'altro mio, queste al fianco di un ardente e scoppiettante camino...
La signora si fa rivedere, il treno monovagone arriva da destra e stanco prosegue lontano. Le sbarre si alzano; riprendo i pedali e continuo il mio viaggio, più vivo di prima.